L'antica arte della resinazione nelle foreste del Parco Nazionale della Sila
Dal libro si evince che l'estrazione della pece nel bosco silano fu un affare di dimensioni storiche: fu oggetto di commercio, ma anche di rapina da parte di Greci, Romani e altri popoli invasori, che la utilizzarono per costruire flotte. La pece fu una di quelle immense risorse silane insieme alla pastorizia e al bosco per cui intorno all'altopiano fiori il monachesimo: benedettino con Corazzo e S. Maria della Matina, Cistercense con la Sambucina, il Frigillo e Calabromaria, Basiliano col Patirion e Florerse con Gioacchino.
La lavorazione della pece testimonia che la Sila nei secoli scorsi era un formicaio, non terra desolata, e attesta poi il carattere laborioso delle popolazioni silane. Numerosi i contenuti del testo: le molteplici utilizzazioni della pece, l'escursus storico che ne attesta l'estrazione nei vari periodi, i risultati delle ricerche e le immagini di forni e boschi resinati, i vari metodi estrattivi tra cui il forno come descritto da Plinio e similmente dal Venusio nel 1773. Testimonia ancora come la pece sia stata oggetto di monopolio: i Romani ne davano l'appalto a pagamento, Federico II ne pretendeva la "quintaria", ma anche Aragonesi e Borboni esigevano lo jus picis.
Perché il testo è titolato "la via della pece"? Nel testo è espresso chiaro tale concetto: per il fatto che produzione e commercio da una miriade di sentieri silani si incanalava nelle due grandi arterie che fin dall'antichità attraversarono l'altopiano da un capo all'altro (e di cui l'autore è riuscito a fotografarne tratti ancora visibili) per raggiungere passo dopo passo tutti i porti del Mediterraneo.
(tratto dalla presentazione dell'autore Francesco Cosco)
Editore: Edizioni Prometeo
Collana: Collana del Parco n. 3
Autore: Francesco Cosco
Anno: 2010
Pagine: 94
Formato: 17x24cm
Prezzo: 10,00€ |